Cristiana Vigliaron

AUTORE: Cristiana Vigliaron

TITOLO: Non chiamarmi sorellina

GENERE: Romanzo di formazione / Saga familiare

EDITORE: Pathos Edizioni

DISTRIBUTORE: DirectBook

FB: NonChiamarmiSorellina

Sinossi:

Prima o poi capita a tutti: la vita ci mette degli ostacoli sulla strada e a fare la differenza non è tanto come inciampiamo, quanto il modo in cui ci rialziamo.

È esattamente ciò che accade a una famiglia di provincia, in un periodo, gli “anni di piombo”, segnato da contrasti e lotte di piazza.

Silvia, suo fratello Francesco e la madre Beatrice, provano a reagire alle avversità che si sono abbattute su di loro dopo il suicidio del padre e il tradimento del fratellastro Agostino.

Costretti a fare i conti col proprio passato i protagonisti reagiscono a modo proprio: la madre scaccia i suoi demoni attaccandosi al collo di una bottiglia, la figlia punta tutto sulla bellezza ed è incapace d’amarsi, il figlio ha le tasche dell’eschimo piene di ideali ma è messo di fronte a scelte più grandi di lui.

Sull’autore:

Cristiana Vigliaron è nata a Castellamonte in provincia di Torino il 29 ottobre 1975.

Ha conseguito il diploma di liceo scientifico, indirizzo linguistico e la laurea in Sociologia con indirizzo psico-pedagogico presso l’Università di Urbino.

Ha collaborato con l’Università di Urbino tenendo nel 2001 un seminario dal titolo “Le donne e la differenza di genere”, all’interno del corso di Sociologia generale.

Dal 2001 al 2003 collabora con il quotidiano “La Vallée Matin”, allegato al quotidiano nazionale “Il Giorno” per le edizioni regionali di Piemonte e Valle d’Aosta, principalmente per la pagina di cultura.

Ha lavorato come educatrice presso il comune di Cuorgné dal 2005 al 2009.

Dal 2012 gestisce l’agriturismo di famiglia.

 

Prologo:

Quant’è bella Torino mentre si spoglia, come una dama, dalle luminarie che l’hanno ingioiellata per le feste, pensa la donna attraversandola in auto. È congelata sul sedile, parte anche lei di quella natura immobile che si è lasciata alle spalle: le cime imbiancate delle sue montagne, i campi arati alle porte della grande città dove i germogli verdi se ne stanno fermi, allineati come bravi soldati. Si è voltata un istante soltanto, quando la punta della Mole, comparsa all’improvviso fra due pomposi palazzi, le ha offerto una cartolina gratuita della città, poi è tornata ad appoggiare la testa sul finestrino fino a quando non si è trovata davanti la facciata del condominio di nuova costruzione. Soltanto a quel punto ha avuto un’esitazione: d’altronde non è mai stato facile entrarci, fin dalla prima volta in cui vi ha messo piede, condannandosi all’inferno.

La finestra aperta dello stabile, indistinguibile dalle altre decine di palazzi che ora formano un quartiere residenziale là dove una manciata d’anni prima c’erano solo campi, lascia intravedere la sua sagoma nuda, inginocchiata su un letto sfatto, e i suoi vestiti buttati alla rinfusa sul pavimento della camera da letto.

“Che hai da guardare, che vuoi?” la donna fissa imbambolata la sua immagine riflessa nello specchio mentre l’odore pungente di cera dei mobili misto al lezzo di chiuso e di sporco le entra nel naso disgustandola.

È spettinata, sgualcita ancor più delle lenzuola ingiallite e fetide. La ripugnano, tutto quello che la circonda la ripugna. Tremante, abbassa lo sguardo su ciò che tiene in mano, un oggetto pesante che potrebbe cancellare all’istante la donna insulsa che le sta davanti.

“Dov’è finito quel tuo faccino che li attirava come il miele? Non c’è più? L’hai rovinato? Hai rovinato sempre tutto.”

Sconvolta scaraventa l’oggetto verso la specchiera del mobile mandandola in mille pezzi. Alcuni frammenti di vetro s’incrinano e riflettono un’immagine scomposta del suo viso. Li osserva a lungo prima di sprofondare la testa nel cuscino fin quasi a soffocare. Prova a chiudere gli occhi anche se è troppo agitata: non le esce nemmeno una lacrima, solo qualche singhiozzo di tanto in tanto. Vorrebbe piangere per vomitare fuori tutta l’angoscia. Allora prova a rannicchiarsi nel letto tenendosi le ginocchia al petto e per un po’ pare funzionare ma presto cominciano a passarle per la testa, come se si fossero messe in fila di proposito per ossessionarla, le immagini di quelli che ancora si ostinano a tormentarla: la donna con le bottiglie di liquore nascoste sotto le coperte, la ragazza studiosa così diversa da lei, l’uomo che cammina sulla Luna, quello che l’ha fatta sprofondare nell’abisso, quello dal cuore buono, e poi lui.

Quant’è bello con la barbetta sfatta e l’eschimo abbottonato fino al collo, pensa mentre cerca di scacciare la sua figura dalla mente. Anche se prova con tutta sé stessa a mandarlo via, alla fine è costretta ad abbandonarsi e a lasciarlo parlare… “sorellina, sorellina…”

Perché la chiama così? Eppure lo sa benissimo che a lei non piace essere chiamata in quel modo. Perché non se ne va lasciandola in pace?

La donna si alza di scatto dal letto e con il posacenere di cristallo comincia a sfasciare ogni pezzo di quel maledetto appartamento fino a quando la voce nella sua testa non tace e le figure spariscono per far posto al vuoto.

Risparmia soltanto il frigo bar; poco prima quell’essere ignobile di cui è schiava le ha detto che è pieno. Se lo ricorda bene e ne sente già un irrefrenabile bisogno.