Intervista a Bruno Morchio

Per quest’intervista mi sono immerso nelle più profonde viscere di Genova per incontrare Bruno Morchio, scrittore genovese di romanzi appartenenti al genere “noir mediterraneo”, sotto-genere che raccoglie quegli autori che hanno deciso di ambientare la loro narrativa lungo le coste del bacino mediterraneo, puntando sui forti contrasti che affiorano dall’incontro fra la bellezza dei luoghi e la pericolosità propria delle città marittimo mercantili. Fra gli autori di riferimento: Carlotto, Izzo, Camilleri, Markaris e Vázquez Montalbán

Intervista e foto di Gianluca Russo
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Bacci Pagano, per coloro che ancora non ti/lo conoscessero, è l’investigatore privato protagonista della maggior parte dei tuoi romanzi, nonché il più noto e amato. Attraverso la narrazione delle vicende legate alle sue indagini, racconti della tua Genova, delle sue dinamiche e dei suoi chiaroscuri; rifletti e ci fai riflettere sul nostro tempo e sulla nostra società.

Il rapporto che lega l’autore al suo soggetto principale è sicuramente particolare, vuoi perché ci racconta molto dello scrittore, di com’è e di come probabilmente vorrebbe essere; vuoi perché l’identità immaginata assume con il tempo una sorta di propria autonomia (pensiamo ad esempio ai vincoli dettati dalla necessità di mantenere una coerenza narrativa), tale da rendere la relazione fra generante e generato, se non paritetica, quanto meno caratterizzata da una dipendenza sempre più reciproca. Inoltre con Bacci condividete davvero molto, come i luoghi dove abitate e che frequentate, alcune delle amicizie ( una su tutte René il marsigliese, alias Mauro, il `capitano’ di “J’aime le crepes” ), il carattere riservato, la fede politica, nonché quella calcistica, siete entrambi genoani.

Proprio immaginando questa dinamica e avendo in mente il visionario film di Gabriele Salvatores, Nirvana, in cui il protagonista di un videogioco, Solo, ha l’opportunità di confrontarsi con il proprio creatore, Jimi Dini; cosa direbbe Bacci al proprio, di creatore, in una circostanza simile? Cosa nascerebbe da un vostro confronto diretto ?

“Sapeva che non sarebbe mai potuto uscire di lì, che la sua vita era soltanto una copia della realtà, ma dal suo mondo finto mi guardava dritto in faccia; ma la realtà non sopporta di essere guardata negli occhi. Per questo non basta la ragione a capirla.” – Jimi Dini – Nirvana di G.Salvatores

Potrei risponderti citando il racconto pubblicato nella prima antologia in memoria di Marco Frilli (Una finestra sul noir, 2017). È Bacci Pagano stesso che parla, e a Marco che gli ricorda quanto Morchio si sia sbattuto per dare lustro al detective e farlo conoscere a un pubblico sempre più vasto, Bacci risponde alzando la voce: «Ma lo sai quante cattiverie mi ha fatto quel vecchio impostore con la faccia da pretino? Mentre lui se ne stava tranquillo a scrivere al suo computer e si beccava i soldi degli anticipi e delle royalties, per colpa sua io mi sono fatto cinque anni di carcere di massima sicurezza! (…) Non è forse lui che ha escogitato quella bravata, facendomi raccogliere una pistola fumante durante una manifestazione a Milano?»
«Perché, tu non l’avresti raccolta?»
«Sicuro che l’avrei fatto, ma con uno scopo preciso: sparargli e togliermelo di torno una volta per tutte. Perché forse non l’hai ancora capito, ma quel gondone è invidioso marcio di me.»
«Per via dei tuoi successi con le donne?»
«Per quelli, perché ho ancora folti capelli in testa, sono alto uno e ottantacinque e ho un coraggio che lui manco se lo sogna. Ma, soprattutto, per un’altra ragione.»
«Quale?»
«Il fatto che a Genova tutti sanno chi sia Bacci Pagano, mentre lui non se lo fila nessuno.»

“La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche avere un’opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione

G. Gaber – La Libertà
I tuoi romanzi mi riportano alla mente questa celebre strofa della canzone di Giorgio Gaber, questo perché nel tuo trattare di temi sociali e politici arriva forte il tuo coinvolgimento.
Ma cosa vuol dire al giorno d’oggi partecipazione? In una realtà sempre più globalizzata, virtuale, intangibile, quanto è difficile, specialmente per i giovani, trovare dei riferimenti, degli appigli su cui costruire i propri valori e la propria coscienza politico-sociale?

Non è facile rispondere. Viviamo un’epoca storica dove in politica tutto procede a fiammate che si esauriscono nel giro di pochi mesi, lasciando macerie fumanti. Penso a fenomeni come il renzismo, il salvinismo e, presto, il melonismo, ma anche il Movimento 5 stelle e le Sardine. Mi auguro che lo stesso non accada al movimento che lotta per contrastare i cambiamenti climatici. Panta rei, tutto è liquido e scorre velocemente. Pannella non aveva idea del danno che avrebbe provocato alla democrazia il dissolvimento dei partiti, che – con tutti i loro difetti − garantivano una efficace forma di selezione della classe dirigente, una seria formazione del ceto politico e il consolidamento di una visione nei giovani che si accostavano alla politica; se a questo fenomeno si aggiunge la crisi dei giornali e l’avvento dell’informazione via social si capisce perché il 6 gennaio 2021 abbiamo assistito all’assalto al Capitol Hill di Washington. Sotto questo profilo l’Italia sembra molto più a rischio rispetto ad altri paesi europei dove i partiti tradizionali hanno conservato quasi intatto il loro appeal elettorale.

Parlando di giovani mi è venuta in mente la bellissima iniziativa che hai realizzato nel contesto del festival Incipit, nel 2019. Con le scuole avete organizzato un concorso che ha visto come protagonisti gli studenti di alcuni licei per ri-scrivere l’incipit del racconto di Borges sul Minotauro. Una prova non facile, ma che è stata superata in maniera eccellente. Ho avuto infatti il piacere di essere presente alla giornata delle premiazioni e posso testimoniare che gli elaborati presentati erano davvero di ottimo livello. Quale ricordo conservi di quell’esperienza?

Un ricordo esaltante. Se si lavora sulla scuola forse possiamo ancora salvare qualcosa. Ho l’impressione però che qui si consumi un fenomeno di incomprensione e frattura epocali. I vecchi non sono capaci di capire i giovani, le nuove generazioni hanno rotto definitivamente – in forza del pervasivo influsso delle nuove tecnologie – i legami con quelle che le hanno precedute e questa cesura antropologica (di linguaggi, culturale, di icone e di visione del mondo) rischia di produrre effetti devastanti sulla società: così, chi finisce per farla da padrone è il mercato e, in ultima analisi, le grandi multinazionali che inseguono un solo obiettivo, quello del profitto.

Nel tuo ultimo romanzo, Nel tempo sbagliato, ci riporti al 1994 in una Genova in piena metamorfosi: la sua storica anima industriale e operaia stava lasciando spazio ad una nuova identità più borghese e turistica, per ammiccare alle opportunità promesse da un nuovo millennio ormai alle porte. L’Italia, nel mentre, era alle prese con l’archiviazione della prima Repubblica e, nell’illusione di trovare un’alternativa ad una classe politica irrimediabilmente corrotta, si gettava nella china della politica berlusconiana. Una linea di governo spudoratamente incentrata su interessi personali, di forte matrice antisociale e assolutamente priva di ideologia, che sarà l’inizio di un progressivo declino culturale e morale, terreno fertile sul quale populisti e nazionalisti edificheranno le loro cattedrali d’odio e i nascenti partiti di destra. Sullo sfondo il dilagare silenzioso della globalizzazione economica, della quale ne comprenderemo solo molto tempo dopo la portata dei suoi effetti. In questo tumulto di cambiamento troviamo anche il povero Bacci, alle prese con il recente divorzio, impedito nel frequentare la figlia perché costretto da un’ordinanza cautelare e indaffarato in un trasloco che lo costringe a sradicarsi dalla casa in cui ha sempre vissuto.

Nessuna nostalgia. In realtà ho raccontato il passato per parlare del presente. Ho accennato alla fine di un’epoca, la fine della centralità della fabbrica come fulcro di connessioni sociali, politiche e culturali che davano un baricentro solido al complesso della società, il prevalere dei valori del consumo su quelli del lavoro (l’Italia è ormai una Repubblica fondata sul consumo, come il resto del mondo). Ma naturalmente il romanzo prende le mosse da un nodo drammatico, da un grumo di sofferenza legato alla figura mitica della giovane Myra, una vivida intelligenza, studiosa di Marziale, che “studia il passato per aprire una strada al futuro” (secondo le parole di Mara, la fidanzata di Bacci, che questa volta sarà determinante per sbloccare il detective dalla sua paralisi).

Il paradosso è che, nel corso delle presentazioni, mi sono accorto che, nella necessità di non svelare la soluzione del mistero, non si può parlare con i lettori dei messaggi più pregnanti del romanzo. Il succo sta tutto in quell’ultimo capitolo, che però non può essere letto senza togliere il piacere dell’intrigo “giallo”. Questo accade perché ormai mi sto sempre più concentrando sulla struttura narrativa del genere, la smonto, la tiro come un elastico, nel tentativo di scrivere qualcosa di nuovo. E ormai è necessario innovare un genere che rischia di diventare ripetitivo come i numeri della Settimana enigmistica (che dio l’abbia sempre in gloria, io sono un patito e la compero ogni giovedì). Non si può giocare solo col profilo dell’investigatore (variando sul genere, sui gusti in fatto di cibo sesso stile e provenienza geografica e sociale, su idiosincrasie nevrosi o psicosi e su paesaggi più o meno suggestivi). Bisogna tornare a leggere i classici e studiare quali sono state le rivoluzioni compiute da autori quali Hammett, Chandler, Simenon, Dürrenmatt, Vázquez Montalbán, Izzo: rivoluzioni letterarie, nella scrittura e nella struttura narrativa. Altrimenti alla lunga i lettori finiranno per annoiarsi e non leggere più i nostri libri.

Una cantante ed una sua canzone caratterizzano la storia del “Nel tempo sbagliato”, senza svelare troppo, vuoi raccontarci chi ha rappresentato per te Sylvie Vartan e che legame hai con il brano Irresistibilmente ?

Un mito erotico dell’adolescenza, con quel mix di innocenza, candore e malizia, che trasfondeva anche nelle sue canzoni attraverso la voce, i gesti, lo sguardo e quella deliziosa scissura tra gli incisivi che era il classico dettaglio imperfetto che suggella la perfezione.

Rimanendo sempre sul tuo ultimo romanzo, c’è un passaggio, a dire il vero quasi due pagine, dove Bacci si concede una piacevole chiacchierata sui suoi autori preferiti di romanzi gialli/noir. Spiccano i nomi di Raymond Chandler, Manuel Vázquez Montalbán, George Simenon, Augusto De Angelis. Immagino che esprimano anche le tue di preferenze, a tal proposito vorrei chiederti qual è il tuo libro del cuore, domanda rituale dei miei incontri, e inoltre se vuoi aggiungere qualcosa all’introduzione estremamente sintetica che ho dato del genere noir mediterraneo ad inizio intervista.

Certo, sono i miei maestri, a cui si potrebbe aggiungerne tanti altri: Scerbanenco, Izzo, Markaris, Cain, Ellroy, Crumley, Manchette, Winslow, P.D. James. Highsmith, Graham Green, Le Carré…

Sul noir mediterraneo aggiungerei che, al di là dell’ambientazione e dell’impegno a raccontare la realtà sociale, non esiste una caratteristica programmatica o stilistica che ne faccia una scuola e ne tratteggi una poetica comune. Ogni autore fa per sé.

Infine, il mio romanzo del cuore, nonostante mi sia laureato in lettere con una tesi su La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, resta La luna e i falò di Cesare Pavese, il romanzo italiano dove memoria e mito si fondono e si confondono e dove il Fato prende corpo nel quadro di una narrazione moderna.

Nella sequenza di foto successiva ci troviamo al Caffè degli Specchi, storico locale Genovese che coniuga tradizione, cultura, amore per il buon mangiare e per il buon bere.
Ce ne regala un affascinante scorcio Bruno Morchio in “Bacci Pagano. Una storia da caruggi”. Questo il passaggio che descrive l’incontro del detective con la fascinosa Alma, futura sposa dell’erede dei Pellegrini:

Il Caffè degli Specchi era pieno di gente che stava in piedi davanti al banco. I pochi tavoli del piano terra erano tutti occupati. Fortunatamente se ne liberò subito uno. Era il tavolo affacciato alla vetrata che dà su salita Pollaiuoli. Mentre prendevamo posto, uno di fronte all’altra, mi chiesi se quella posizione così in vista non le creasse qualche imbarazzo.
“Se si sente in vetrina, possiamo andare di sopra”
“E perchè? Non facciamo niente di male.”
“Sa che questo è il tavolo dove stavano seduti Vittorio Gassmann e Agostina Belli in Profumo di donna?”
“Davvero? Proprio questo?”
“Sì, il film l’hanno girato qui.” La Belli sedeva proprio dove si trova lei adesso”
Fece una smorfia tra il compiaciuto e l’ironico.
“Quale onore. Mi pare di ricordare che nel film Gassman faceva la parte del cieco, Per una donna deve essere una grande soddisfazione fare innamorare un cieco.”
“Non saprei priorio”
“Sicuro. Un cieco non si innamora del tuo aspetto. Si innamora di te.”
Detto da una commessa dei grandi magazzini che curava il look fin nei minimi particolari, avrebbe potuto suonare un bluff, ma non era così. Forse perché, se imbroglio c’era, Alma stava imbrogliando anche a se stessa.

Da Bacci Pagano. Una storia da caruggi. Capitolo 8, Alma.

L’anno duemila è per te una data importante, così come lo è per la Fratelli Frilli Editori, con la quale hai condiviso l’esordio. Dopo tanti anni, reduce di un certo successo, che sensazioni ricordi di quei momenti?

 

Quando Una storia da carruggi ha cominciato a ristampare, edizione dopo edizione, settimana dopo settimana, conservando il primo posto nelle vendite a Genova per diversi mesi, un po’ mi è girata la testa. Nessuno se l’aspettava, era l’ebbrezza dell’esordiente. L’altro colpo gobbo l’ho fatto con Rossoamaro, poi mi sono stabilizzato tra la nicchia e un’andatura da “mercato di bolina”, e credo che ora mi sono fermato lì. Molti vecchi lettori forti, affezionati al personaggio, sono morti e non so quanto Bacci Pagano piaccia ai giovani (che peraltro non sono lettori forti del genere poliziesco). Spero però che il detective genovese rimarrà una piccola icona di questa mia disgraziata città, e la cosa un po’ mi gratifica.

Hai accennato al fatto che prima di intraprendere gli studi di psicologia presso la facoltà di Padova, ti sei laureato in lettere moderne avendo come relatore Edoardo Sanguineti, con una tesi sul romanzo incompiuto di Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore. Pensare a Sanguineti è per me immaginare un gigante, quale ricordo conservi di lui umanamente e professionalmente?

Un altro grande Maestro, che per mia fortuna ho avuto modo di conoscere di persona. I maestri con cui entriamo in contatto personale segnano la nostra vita per sempre. Una volta gli ho chiesto di venire a Milano all’Associazione di studi psicoanalitici per parlare di inconscio e letteratura. Fino a Rogoredo abbiamo chiacchierato di tutto un po’, come due quasi-amici che si ritrovano per caso a viaggiare nello stesso vagone del treno. A un tratto mi ha chiesto: «Di che parliamo oggi?». Gli ho spiegato il tema della conferenza. Ha estratto un foglietto e preso due appunti. Cinque minuti in tutto. All’incontro ha parlato mezz’ora lasciando la platea sbalordita, ammirata. Questo era Edoardo Sanguineti.

Il tuo passato da psicologo/psicoterapeuta ha influito/influisce sulla tua scrittura, oppure sono per te due momenti distinti della tua vita che vuoi mantenere tali? Da qualche tempo non eserciti più, ne senti la mancanza?

Diciamo che la scrittura mi riempie la vita e non sento la mancanza di quella attività clinica che per molti anni ha riempito le mie giornate. Ogni tanto mi confronto con giovani colleghe su qualche terapia spinosa, ma lo faccio gratuitamente, perché voglio bene ai miei ex allievi e perché continuo ad amare quel lavoro. Quanto al peso della mia esperienza di psicologo sulla scrittura, senza di essa probabilmente non avrei avuto molto da scrivere. Dopotutto la mia vita è stata un’esistenza piuttosto ordinaria e banale e leggerne risulterebbe noioso (anche se, nel romanzo “Stoner”, John Williams dimostra che da un’esistenza banale può scaturire una grande narrazione).

Chiedo agli intervistati di portare con sé un oggetto, un qualcosa che sia significativo del proprio percorso di vita. Hai con te un modello di “vespa rossa”, qual è la ragione, o le ragioni, per cui sei legato a questo oggetto?

 

Bacci si muove in Vespa e io l’ho fatto per molti anni (anche se ora vado a piedi, in bicicletta, con l’autobus e qualche volta in automobile).

Tornando a Bacci Pagano, di recente è diventato anche un gioco in scatola. Di cosa si tratta ? Com’è nata l’idea ?

È stata opera del gruppo di Demoela, un team di giovani che sono autentici maghi del settore. Si tratta di cinque storie che ho scritto apposta per loro e che hanno trasformato in altrettanti giochi di ruolo di difficoltà crescente. Ci ho giocato una volta e l’ho trovato divertente e affascinante. Il giocatore si mette davvero nei panni di Bacci Pagano e fa esattamente le cose che il personaggio si trova a fare nei romanzi.

In tema di anticipazioni, nei primi mesi del 2022 è prevista l’uscita di un altro tuo lavoro, è corretto ? di cosa si tratta ?

È un nuovo personaggio che a mio avviso è ricco di possibilità, al punto da poter diventare un nuovo protagonista seriale. Si tratta di un trentenne che pratica abusivamente la professione dell’investigatore privato, vive in una pensione malfamata della città vecchia, è figlio di una prostituta misteriosamente assassinata e ogni giorno ha una problema drammatico da affrontare: pagare il misero affitto della pensione e procurarsi un pasto caldo. Una storia di precarietà e compromessi al ribasso. Trovo che sia interessante perché si tratta di una prospettiva che mette in crisi il paradigma classico del genere, che vuole l’investigatore senza macchia e senza paura, poco incline ai compromessi. Inoltre, in questo romanzo, più che negli altri, mi misuro con una pluralità di lingue, dallo spagnolo all’albanese al romanesco, e tanto tanto genovese.

Non solo Bacci nei tuoi romanzi, ricordiamo infatti: Il profumo delle bugie, il testamento del Greco, Un piede in due scarpe, Dove crollano i sogni.

Quale dimensione narrativa hai ricercato in questi romanzi che non poteva trovare spazio nei racconti dell’investigatore? A quali di questi sei più legato?

Ho voluto misurarmi con altri generi: la commedia grottesca borghese, la spy story “alla Le Carré”, che amo molto – e che peraltro avevo già affrontato in Colpi di Coda –, la parodia del giallo classico, il noir “duro”, quello ispirato alla lezione di Simenon e Malet. Tre di questi romanzi sono scritti in terza persona, una cifra che in fondo non mi è congeniale. Il narratore non necessariamente deve essere il protagonista, può anche essere un “testimone”, ma adottare la prima persona resta per me il vestito nel quale mi muovo meglio. E così anche il nuovo personaggio, Mariolino Migliaccio, detto fottignìn scottizzoso, pur essendo così lontano da me per età, caratteristiche di personalità ed esperienze di vita (così come la Blondi di Dove crollano i sogni) parla in prima persona.

Ringrazio Bruno per la sua disponibilità e “partecipazione” !