(Italiano) Intervista a Deborah Riccelli

Deborah Ricelli si racconta in esclusiva attraverso le domande e le foto di Gianluca Russo.

Ciao Deborah e grazie per la tua disponibilità. Se sei d’accordo, per prima cosa direi di svelare il luogo della nostra foto-intervista, ci troviamo infatti al cimitero di Genova-Pegli, perché questa scelta particolare? Chi è per te Blanca?

Ciao Gianluca, innanzitutto vi ringrazio per l’ospitalità e particolarmente ringrazio te per aver sopportato le mie “stranezze”. Quando, per impostare la foto-intervista, mi hai chiesto di immaginare un luogo nel quale io mi sentissi a mio agio, ho immediatamente pensato ad un cimitero. Sono cosciente del fatto che ciò appaia quanto meno curioso, ma nessun luogo “canonico” e penso ad una spiaggia, ad una piazza, ad un parco, mi dà la stessa sensazione di “accoglienza”.
Mi sento spesso fuori luogo o, per meglio dire, “Fuori dal tempo”.
E ’come se avessi la sensazione di osservarmi dall’esterno, attraverso una telecamera. Non provo questa sensazione nei cimiteri, verso i quali mi sento costantemente attratta. La scelta doveva essere Staglieno ma, per questioni logistiche e perché vi sono sepolti i miei genitori, ci siamo recati nel cimitero di Genova-Pegli.
Blanca fa parte dell’esercito dei silenziosi messaggeri di pietra o bronzo che incontro durante le mie frequenti passeggiate in quei luoghi. Mi reco spesso a trovarla perché è sepolta proprio a Pegli, ma non conosco il suo vero nome. Non so chi fosse in realtà. Nella tomba di famiglia dove è posta questa meravigliosa statua sono incisi altri nomi femminili. Ho pensato io di chiamarla Blanca, perché questo è il nome della figlia di uno dei miei personaggi letterari preferiti, e mi auguro che abbia vissuto come lei, in sintonia con i propri ideali, in lotta per le proprie passioni, sempre fedele a se stessa.

Per la prossima domanda, vorrei riflettere partendo da una poesia di un’autrice a me molto cara, Wisława Szymborska, tratta da “Sulla morte senza esagerare”; qui ne riporto un passaggio:

Chi ne afferma l’onnipotenza/è lui stesso la prova vivente/che essa onnipotente non è.
Non c’è vita/che almeno per un attimo/non sia stata immortale.
La morte/ è sempre in ritardo di quell’attimo.
Invano scuote la maniglia/d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre/il tempo raggiunto.


Con il suo linguaggio diretto e ironico, Szymborska, affrontare la morte, ne traccia i confini e ci affranca in qualche modo dall’atavica paura che ognuno di noi ha per essa, glorificando la forza della vita.
Parlare di morte è quindi parlare di vita ed anche nella tua scrittura questo concetto emerge con forza. Vuoi raccontarci qualcosa di più ?

Non c’è vita/ che almeno per un attimo/ non sia stata immortale.
Ecco, scrivendo le storie che sono diventate i racconti che compongono Mille e più farfalle, volevo affermare proprio questo principio, l’immortalità della vita, paradossalmente anche di fronte e attraverso la morte.
Per questo non trovo giusto “occultare” la morte, soprattutto ai bambini, ad esempio non facendoli partecipare ai funerali o fornendo spiegazioni assurde, alla morte di qualcuno. La morte è un passaggio e solo accettando questo passaggio possiamo permetterci di affrontare ed elaborare il lutto e il dolore della perdita. I lutti non elaborati ci ritorneranno davanti sotto altre forme, agendo sulla nostra personalità, e le separazioni, anche da persone ancora in vita, saranno difficili da comprendere e da accettare. Parlare di morte ci permette di parlare, con ancora più forza, di vita. Per questo io credo sia possibile e naturale, scrivere di morte affermando la vita.

Il tuo ultimo libro, Mille e più farfalle, sta riscuotendo un ottimo interesse nel pubblico e le classifiche di vendita ne sono dimostrazione, del resto anche la presentazione è stata un successo. Secondo te qual è stata la chiave di entrata nel cuore delle persone, considerando che sicuramente non è un testo “facile” ? Il “libretto di istruzioni” è stata per me la storia più difficile con cui confrontarmi e per questo, in un certo qual modo, anche la mia “preferita”. Hai ricevuto proprio su questa storia un riscontro speciale, un messaggio da una persona che ha tratto un concreto beneficio nel leggerla, vuoi condividere con noi questo aneddoto?

Avevo davvero molti dubbi e timori su come sarebbe stato accolto il mio libro. Oltretutto uscito ai primi di luglio, in piena estate, quando la gente ha ancora più voglia e bisogno di leggerezza. Invece le mie paure sono state smentite. La Feltrinelli strapiena, l’essere prima in classifica vendite e l’aver, come cita Repubblica a luglio, messo in attesa due giallisti del calibro di Camilleri e De Giovanni, mi ha riempito di orgoglio. Sarei ipocrita ad affermare il contrario. Forse, perché Mille e più farfalle parla un linguaggio universale toccando paure, timori e dolori che ognuno di noi si è trovato o si troverà a dover affrontare. Per alcuni, quelle paure, sono state realtà. Il messaggio che citi riguarda una madre che ha perso il suo bambino e mi ha scritto che solo leggendo uno dei quattro racconti ha compreso di aver fatto tutto il possibile. Non lo aveva capito nonostante sia stata in terapia per anni ma lo ha compreso immedesimandosi nella voce narrante de “il libretto d’istruzioni”. Le sue parole mi hanno riempito il cuore. Forse anche un libro può trasmettere il messaggio che, sebbene di fronte al peggio, non siamo soli.

Il tuo impegno sociale si è concretizzato anche con la fondazione di una ONLUS, OLTREILSILENZIO, di cui sei presidente, ce ne vuoi parlare?

Oltreilsilenzio è attiva a Genova e in tutta Italia da molti anni. Ci occupiamo principalmente dell’ascolto delle vittime di violenza di genere e del loro percorso di fuoriuscita dalla situazione maltrattante. Agiamo su molti fronti. Principalmente attivando un percorso psicologico-psicoterapeutico. Quando è necessario forniamo anche un supporto legale. Da qualche anno agiamo anche sui progetti lavorativi perché la dipendenza economica è una grave forma di violenza che spesso viene sottovalutata. Ci occupiamo poi, in tutta Italia, di elaborazione del lutto per i famigliari delle vittime di femminicidio.

“Nessuno mai potrà + udire la mia voce”, il tuo precedente libro, ha avuto una trasposizione teatrale, tra l’altro molto apprezzata, anche quest’ultimo libro calcherà le scene?

La mia scrittura è, in effetti, molto teatrale. Nessuno mai potrà + udire la mia voce ha visto il sold-out in parecchi teatri e mi auguro che Mille e più farfalle possa fare altrettanto. Diciamo che se il primo ha richiesto da parte mia la scrittura della sceneggiatura ex novo, Mille e più farfalle è già predisposto per un due atti, in quattro tempi con dei monologhi che sono già praticamente scritti.

Sempre parlando di teatro, stai portando avanti un altro progetto bellissimo e di alto impegno sociale, mi riferisco al laboratorio di recitazione che stai tenendo presso il CEL , di cosa si tratta ?

Anche questo è un progetto che porto avanti in sinergia tra Oltreilsilenzio e la compagnia teatrale che gestisco. E’ un progetto integrato di Empowerment che vede la nostra collaborazione con altre associazioni o cooperative. Il progetto teatrale si occupa di minori in stato di bisogno seguiti dalla cooperativa Ascur. E’ a beneficio di bimbi vittime di violenza assistista o dei ragazzi del Cel (centro educazione al lavoro, sempre gestito dalla stessa cooperativa). Io, in entrambi i casi, agisco sulla “messa in scena” delle emozioni. Con questo metodo i bambini e i ragazzi in questione potranno incontrare e affrontare le loro difficoltà senza esserne travolti. Credo possa essere di grande aiuto per il loro benessere psicofisico e per uscire da quell’isolamento relazionale che li ha resi vittime indifese di realtà difficili.

Cosa significa per te essere una scrittrice e come hai iniziato?

Ho letto da qualche parte che uno scrittore è un sognatore legalizzato che deve poi sporcarsi le mani con la vita vera. Non so se sia è realmente così. Ma so che è sempre stato il mio sogno. Non era un sogno del quale, necessariamente, le persone mi sentivano parlare ma io scrivevo pagine e pagine. Le rileggevo, le cancellavo, alcune le strappavo e altre le conservavo in una scatola. Sicuramente non avrei mai immaginato che qualcuno avrebbe pagato per leggere le mie parole. Comunque io per lavoro osservo e ascolto e, anche se non mi permetterei mai di trascrivere la vita di chi si affida a me, mi rendo conto che fare il pieno di emozioni mi è di grande aiuto.

Ti ho chiesto di portare un qualcosa a cui sei particolarmente legata e con la quale avevi piacere ti ritraessi, tu hai scelto la foto della tua mamma e del tuo papà. Vuoi dirci qualcosa di questa scelta o semplicemente dedicargli una riflessione?

La Rowling ha detto : << Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c’è più. E’ una cosa che ci resta dentro, nella pelle >>.
I miei genitori sono andati via troppo presto. Non ho avuto la gioia di vederli invecchiare al mio fianco, soprattutto il mio papà, che è mancato oramai da venti anni ma io, questo essere loro figlia, me lo sento cucito addosso. Ogni giorno mi chiedo cosa penserebbero della donna che sono diventata e se sarebbero fieri di me. Ogni giorno faccio del mio meglio per non deluderli. Forse non tutti diventiamo genitori ma non si smette mai di essere figli. Anche quando mamma e papà non ci sono più materialmente accanto. Per questo, alla tua richiesta, li ho portati con me.

Chiediamo a tutti i nostri intervistati di portare un libro del cuore. La tua scelta è stata “la casa degli spiriti” di Isabella Allende, perchè per te è stata una lettura segnante? C’è un passaggio del libro che è per te particolarmente significativo?

Chi legge tanto teme questa domanda. Ovviamente ognuno ha molti libri preferiti perché la vita ci cambia e possiamo, rileggendoli, trovare meno interessante un libro che ci ha emozionato anni prima o bellissimo un libro che non avevamo apprezzato. Anche per me è così. Ho molti libri che amo a pari merito ma ne ho solo uno che metto in libreria per primo ad ogni trasloco. Ha segnato me, la mia voglia di leggere e il mio modo di scrivere. Soprattutto mi ha concesso fin da bambina di riconoscermi in qualcuno a cui la morte non faceva paura. Allende mi ha fatto sentire meno “diversa”. Mi ha fatto sentire compresa. Ecco perché ho dato quel nome alla statua (tornando alla prima domanda). Il passaggio letterario che amo di più è: così, come quando si viene al mondo, morendo abbiamo paura dell’ignoto. Ma la paura è qualcosa d’interiore che non ha nulla a che fare con la realtà. Morire è come nascere, solo un cambiamento.

Per concludere, vuoi svelarci qualche progetto del prossimo futuro? Stai già pensando ad un altro testo?

Sì, in realtà sto già scrivendo, sono oltre la metà, di un altro libro, totalmente diverso anche se affronto le tematiche a me care e che ritengo debbano trovare spazi e voce. Si tratta di un thriller psicologico ambientato a Genova durante i giorni dell’alluvione. E si tratta, per tipologia di scrittura, per me di una sfida bella e stimolante che spero veda la luce al più presto.

Foto e intervista di Gianluca Russo