Intervista a Roberta Trucco

L’attivista e scrittrice Roberta Trucco ci ospita nella sua accogliente casa, per raccontarci qualcosa di sè, del suo libro e del suo impegno sociale.

Foto e intervista di
Gianluca Russo

Roberta, partiamo subito dal tuo libro “Il mio nome è Maria Maddalena” che ho trovato davvero denso di temi “urgenti”.


La trama, in estrema sintesi, narra di una giovane ragazza che, per pagarsi un viaggio in Amazzonia per proseguire il proprio progetto di studi, decide di intraprendere il percorso della gravidanza surrogata, offrendosi, dietro compenso, come donatrice di utero.


Dalle motivazioni che spingono la protagonista a fare questa scelta, a quelle che ne condizioneranno l’evolversi, il libro mette a fuoco diverse tematiche cruciali che riguardano sia la parità di genere, ma più in generale le sfide che la nostra civiltà è obbligata ad affrontare per sopravvivere a se stessa e dare ai propri figli un futuro degno di essere vissuto.
La prima domanda, perché il tuo NO deciso alla maternità surrogata? Non è un porre un limite alla libertà di scelta della donna?

Il mio no alla maternità surrogata nasce dalla pancia, anzi direi dalle viscere. Molti pensano che chi “ragiona con la pancia” non sia in grado di essere obiettivo, io invece credo che nelle viscere si annidi un sapere ancestrale che, se ben decifrato, indichi la via da seguire. È seguendo quel sapere che ho scritto il romanzo. Oggi posso dire di avere anche elaborato, grazie alle molte donne con le quali mi sono confrontata, molti argomenti che dimostrano che questa pratica è aberrante e riduce in schiavitù donne e bambini. La prima ragione per mettere al bando universale questa pratica è che il legame che si crea nei nove mesi di gravidanza non è un legame asettico, ma al contrario è una relazione che segna per sempre sia la madre gestante che il nascituro. Noi siamo il nostro corpo e quel corpo porterà indelebile la traccia del corpo che lo ha fatto crescere. Recidere, per contratto, quel legame ancora prima che si sia creata la relazione è amputare l’identità di chi viene al mondo e in un certo senso anche quella di chi si presta come madre surrogata. Mi si opporrà che nella vita a volte succede, succede di rifiutare il figlio che cresce nel proprio grembo, o di perdere la madre perché muore durante il parto o poco dopo, ma una cosa è la vita e i suoi misteriosi sentieri e una cosa l’onnipotenza del desiderio che vuole costringere in sentieri obbligati la vita. Al contrario di chi dichiara la GPA come una forma di libertà di scelta delle donne, io la vedo come una sottomissione della donna al desiderio onnipotente dell’individuo e del mercato. Per me la maternità, con tutto il suo carico anche faticoso di responsabilità, è sacra e attentare alla sacralità di questa funzione per me è distruggere il senso stesso di umanità.

Un ulteriore passaggio che ritengo molto interessante è quello legato al “concetto di Continuum”: “Il bisogno di mamma non è un capriccio infantile per intralciare i diritti di una madre, ma una necessità biologica, strettamente connessa con l’equilibrio mentale dell’individuo e con l’integrità del gruppo umano a cui si appartiene”. Vuoi spiegarci meglio?

“Il concetto del continuum” è un libro scritto negli anni ’70 da Jean Liedloff. Jean non era un’antropologa, né una pedagogista né una filosofa. Era una giovane donna che negli anni ’70 si reca Amazzonia alla ricerca di diamanti. Lì, nella foresta primigenia, conosce e vive con le popolazioni yekuana e osservando il loro stile di vita elabora “il Concetto del Continuum” di cui poi scriverà appunto nel suo libro. Per lei “sarebbe proprio la rottura dell’equilibrio iniziale, la separazione violenta madre/ bambino fin dai primi istanti di vita, poi ripetuta a più riprese a produrre individui sradicati, ansiosi, insaziabili, dipendenti, aggressivi, nel nostro mondo che noi orgogliosamente chiamiamo “primo”. “La civiltà occidentale accelerando, depredando e soprattutto devastando l’ infanzia fin dalla’ nascita ha interrotto il naturale processo evolutivo, entrando in una spirale autodistruttiva”. Siamo negli anni ’70 e in quegli anni ci si avviava verso una maternità sempre più medicalizzata, nursery, orari per allattamento, allattamento artificiale. Lei invece, osservando le donne yekuana, capisce che i nove mesi che seguono alla gestazione ( l’esogestazione) sono una necessità biologica strettamente connessa con l’equilibrio mentale dell’individuo e con l’integrità del gruppo umano a cui si appartiene. Secondo lei stiamo rovinando il nostro futuro perché spezziamo il continuum. E io non potrei essere più d’accordo. La maternità surrogata, non è forse l’atto estremo che porta a spezzare il continuum in modo definitivo avviandoci verso l’autodistruzione?

Un’idea che germoglia dal punto precedente e che viene rafforzato in un altro passaggio del tuo libro, è il diritto di essere femminista-madre, ma anche il diritto di essere, passami il termine, femminista-padre.

Riporto un passaggio del libro: “Ancora oggi, in effetti, si continua a credere che la responsabilità del sostentamento della famiglia debba stare tutta sulle spalle dell’uomo, anche se poi nella realtà non è proprio così. Ma è uno stereotipo duro a morire, che serve solo a sminuire tutti quei padri di famiglia che non hanno interesse a fare carriera o a costruirsi rendite sicure.”

Riassumendo potremmo dire che si fissano due principi, il primo che l’eguaglianza di genere non deve essere una battaglia esclusivamente femminile, ma un traguardo umanitario; secondo che in questo percorso di evoluzione, l’uomo deve riscoprirsi ed emanciparsi per definire una nuova coscienza di sé.

Cosa vuol dire oggi essere femminista? Puoi provare a darne una definizione?

 

La definizione che amo di più è quella della mia amica monaca femminista Teresa Forcades :”la prospettiva femminista presuppone che le donne e gli uomini siano stati creati per stabilire tra loro relazioni libere e reciproche, senza sottomissione né dominio da parte di nessuno“. Credo che ciò che accomuna tutti i femminismi, ce ne sono molti e non la pensiamo su tutto allo stesso modo- come ad esempio sulla GPA, è la consapevolezza che il patriarcato è un sistema di morte che genera il razzismo, il colonialismo , il capitalismo malato e per questo va combattuto. Il maschilismo è un comportamento, e non tutti gli uomini sono maschilisti, ma il patriarcato è il sistema nel quale viviamo, donne e uomini, ed è quello che promuove stereotipi che fino ad oggi opprimono in particolare le donne ma anche gli uomini che non vogliono rispondere alle aspettative insite in questo sistema sociale.

La narrazione della Storia definisce il nostro modo di essere e di pensare; la riscoperta dei valori ancestrali e del legame viscerale con la madre-terra è la chiave per riscoprire il ruolo che le donne e gli uomini devono avere nel mondo.

La nostra società ha bisogno di una completa ridefinizione: “Non ci sono formule magiche”, spiega Suor Anna nel libro, ma “la nostra speranza e il nostro lavoro” sono la soluzione. Un approccio non lineare quindi, un paradigma differente da azione-reazione o malattia-pillola-cura, piuttosto un processo di continua trasformazione e contaminazione, che tu descrivi spiegando il meccanismo del mare e delle “barriere idrauliche”: fronti d’acqua contrapposti che sembrano essere separati in maniera netta, ma nelle profondità invece perpetuano uno scambio continuo e perenne.

Oggi è importante sapere accogliere ed insegnare ai nostri figli a farlo. Come spieghi ai tuoi figli le ragioni di questa ondata di odio verso il diverso che ogni giorno avanza sempre di più e quali strumenti cerchi di fornirgli per sapersi difendere e reagire?

Credo che il diverso faccia paura, e credo che sia una paura naturale e quasi fisiologica, di cui non vergognarsi. Non è scontato aprirsi al diverso, ma chiedo sempre a me stessa e ai miei figli se ci piacerebbe un mondo di omologati? e la risposta è sempre no. Ho 4 figli e mi ritrovo spesso a osservare quanto diversi siano fra di loro. La diversità è una grande opportunità per scoprire la meraviglia della creazione che è un atto in continuo movimento. E’ dunque normale, nell’incontro con gli altri, trovarsi a tratti in conflitto, proprio come succede nei litigi tra fratelli, l’importante è, come per “la barriera idraulica”, accettare di lasciarsi contaminare dall’altro in modo da scoprire parti molto profonde di se stessi che emergono solo nelle relazioni con gli altri dove l’altro, per definizione, è l’altro da sé e dunque il diverso.

“Se non ora quando”, dalla vostra pagina Facebook: “Tra le donne e gli uomini è in corso una rivoluzione: nelle relazioni, nel modo di amarsi, nella costruzione della famiglia. Gli uomini per la prima volta nella Storia sono di fronte alla libertà delle donne. Non è facile per loro, ma neanche per noi. Le paure e le insicurezze reciproche possono spingere a fare a meno dell’incontro con l’altro/a e a coltivare il miraggio di cancellare ogni differenza. Questo possibile esito del gigantesco cambiamento che le donne hanno prodotto ci inquieta. Noi vogliamo altro: ideare e realizzare un mondo condiviso tra donne e uomini. Dobbiamo pensare e sperimentare insieme idee e strumenti per realizzare la condivisione alla pari, nelle relazioni familiari, lavorative, politiche. Vogliamo che la libertà femminile costruisca un mondo di incontri, di reciproci riconoscimenti, di desiderio e di accoglienza.”

Vuoi dirci qualcosa di più di questo progetto?

Il 13 febbraio 2011 siamo scese in piazza per dire che l’Italia non era un paese per donne. Il nostro paese non è ancora capace di arginare le discriminazioni contro le donne, purtroppo, perché la cultura non è pronta ad accettarne le libertà conquistate. le nuove libertà delle donne hanno messo in crisi il sistema patriarcale, sistema però che ad oggi sostiene il mondo nel quale viviamo. E’ necessaria una rivoluzione “gentile” , pacifica, ma che sia una rivoluzione vera e propria, capace di cambiare radicalmente i paradigmi a cui siamo abituati. il capitalismo industriale, legato all’idea della conquista della natura da parte dell’uomo, che ha una forte identità maschile ed è legata al negazionismo climatico, va combattutto e le donne lo hanno capito molto bene. Basta pensare alla forza straordinaria Di Greta Thunberg e alle giovani donne nel mondo che si stanno mobilitando in difesa dell’ambiente. Direi che oggi donna significa dire sguardo nuovo sul mondo e da loro viene la speranza di una vera rivoluzione sociale. Noi, a Genova, abbiamo fondato Senonoraquando Genova (associazione femminista ODV) che promuove questo sguardo sul territorio attraverso azioni culturali, si batte per le pari opportunità e siamo dentro una rete internazionale CIAMS ( acronimo francese che sta per Coalition Internationale pour l’Abolitiòn de la Maternité de Substitution) che si batte per la messa al bando della maternità surrogata.

Una tua bellissima iniziativa è quella che ha coinvolto 500 bambini per la riqualificazione della piazzetta dell’unicorno. Sei molto orgogliosa di questa esperienza, da dove nasce l’idea? Ci vuoi raccontare qualcosa del più?

Nel 2008 il comune di Genova indisse un bando di concorso per la progettazione partecipata. Partecipai con l’idea di riqualificare una piccola area davanti alla scuola elementare M.Mazzini con la partecipazione attiva dei bambini della scuola. Oggi quello spazio, che era ad uso di parcheggi “ creativi” ( abusivi) è diventata una piccola piazzetta, La piazzetta dell’Unicorno, ad uso del quartiere ma anche della scuola elementare prospiciente. La riqualificazione ha visto la partecipazione attiva di 500 bambini che hanno suggerito l’arredo, hanno dipinto due murales, fatto un risseau genovese proprio all’ingresso della scuola e decorato le panche con un mosaico alla Gaudì. E’ stata una esperienza entusiasmante. I bambini sono interpreti straordinari degli spazi che vivono e, se accompagnati dalla competenza degli adulti maturate dall’esperineza, possono essere ispiratori per una nuova idea di urbanizzazione.

Fra le tue passioni troviamo la pittura, come ti ci sei avvicinata? Fra i quadri che mi hai mostrato mi ha colpito molto quello della ragazza in bagno, lo trovo carico di tensione…

Sono un autodidatta. Sono una mancina corretta e disegnare con la mano sinistra mi ha aperto a una visuale che non sapevo di avere. Ho iniziato a dipingere 40 anni ed è stata una vera rivoluzione interiore. Il quadro a cui ti riferisci rappresenta mia figlia Benedetta, all’età di 9 anni, in un momento di rabbia. Stava seduta sul gabinetto e aveva deciso di non muoversi da lì. Non ricordo il motivo della disputa ma ricordo bene che era irremovibile e che mi misi a disegnarla perché la sua determinazione a non cedere alle mie intimazioni aveva un che di eroico. Per non ingaggiare con lei una lotta che ci avrebbe esaurite entrambe, decisi che dovevo rispettare i suoi tempi. Nell’attesa provai a riprodurre nel disegno quella sua caparbia ostinazione che mi affascinava. Fu per me una rivelazione di quanto il lavoro artistico sia terapeutico e sia un buon metodo per fermarsi a riflettere.

Un altro soggetto da te raffigurato e che mi ha suscitato particolare curiosità è la natività, di cui scrivi:

La sacra famiglia, incredibile a dirsi ma di una modernità sconvolgente. È quella famiglia nella quale la madre è colei che accetta di essere madre con il suo corpo, che lo partorisce e il padre colui che accoglie il figlio non in virtù di un legame biologico ma per puro amore. Due amori che contengono la pienezza dell’amore ma anche l’espressione della differenza ontologica di uomo e donna, differenza incancellabile e sacra per me. Che dire ancora oggi nessuno la sa narrare così bene!

Il tuo attivismo lo troviamo anche qui, perché da profonda fedele quale tu sei, vuoi ritrovare una riconciliazione fra la storia Cristiana, così come ci è stata sempre raccontata, e i veri valori che la sottendono, i quali non possono prescindere dall’affermare un’uguaglianza assoluta fra uomo e donna.

Quindi una nuova narrazione, non viziata da una visione patriarcale, è assolutamente necessaria. Quanto è difficile questa sfida ?

lo è assai. come sappiamo la struttura gerarchica della chiesa è misogina e patriarcale. La cristianità si fonda dentro a un sistema patriarcale ma paradossalmente la tradizione cristiana è anche una delle poche tradizioni che ha tenuto nei suoi archivi la storia del pensiero delle donne che hanno contribuito alla sua evoluzione. Se la si va a cercare è una storia ricchissima. Dal pulpito parlano però solo preti maschi e dunque le parole delle donne sono sempre interpretate da loro. Io credo sia giunto il momento di aprire al sacerdozio femminile, non solo perché è giusto, ma anche perché l’interpretazione della parola del vangelo da parte delle donne aprirebbe a una ricchezza grande e non perché le donne sono migliori degli uomini ma semplicemente perché sono incarnate in un corpo differente e dunque con una prospettiva differente, sono l’altro, sono il diverso dentro a quel concetto unitario di umanità. Inserirle in una idea neutra di umanità associata al maschile ne cancella la differenza ontologica. Su questo tema invito a leggere i libri di Teresa Forcades, monaca benedettina catalana, e il libro intervista che ho curato con Cristina Guarnieri “Siamo Tutti Diversi” edizione Castelvecchi

Qual è il tuo libro del cuore e perché?

“Orgoglio e Pregiudizio” di Jane Austen. Sono una romantica, lo lessi da giovane e mi innamorai della storia e dell’abilità di questa scrittrice di raccontare le variegata gamma di sentimenti che si aggrovigliano dentro di noi quando ci si innamora… Ogni volta che lo rileggo mi piace sempre, scritto all’inizio dell’800 riesce ad essere sempre attuale e a raccontare le contraddizioni che abitano costantemente i nostri sentimenti.

Che libro/libri ci sono sul tuo “comodino”?

Attualmente sto leggendo la “Sonata a Kreutzer” di Tolstoj, a seguire leggerò “Amore colpevole” di Sofia Tolstaja; una sorta di risposta della moglie proprio alla Sonata. Sul comodino ho anche un libro molto simpatico e intelligente “L’intestino felice” scritto da una giovane dottora tedesca, Julia Enders: una risposta scientifica alla mia convinzione che parte del nostro pensare nasce anche da lì.. Non è riduttivo ragionare con la pancia, gli organi del nostro corpo sono materia biologica ma anche emotiva e le interconnessioni sono moltissime. Molto istruttivo a questo proposito il capitolo sul cervello dell’intestino.

Nella foto ti vediamo con un ciondolo ed una maschera, entrambi di ebano, che significato hanno per te?

Sono per me degli amuleti. entrambi vengono dall’Amazzonia. La maschera me l’ha portata un amico di mia figlia Matilde che aveva letto il mio romanzo prima della pubblicazione, lo aveva apprezzato e l’ha acquistata per me questa estate durante un viaggio nell’amazzonia boliviana. la foglia invece me l’ha regalata una conoscente che ha letto il libro. Anche lei è stata in Amazzonia dove aveva acquistato questo ciondolo a forma di foglia. Quando ha letto di Arepuchi, la bambina yekuana che, in un certo senso, diventa la guida spirituale di Maria Maddalena, ha deciso che era la sua foglia, e me l’ha voluta donare.

Non ti definisci una scrittrice, ma un attivista che, con l’intento di diffondere il proprio messaggio a quante più persone possibili, ha scoperto di saper scrivere. Questo libro ti ha permesso quindi anche di compiere un percorso interiore?

Certamente! la motivazione a scrivere il romanzo è stata cercare di capire perché il tema complesso e spinoso della maternità surrogata avesse avuto un impatto così forte su di me. Io sono convinta che la ricerca delle origini appartenga a tutti noi. Non tutti saremo padri, non tutte saremo madri, ma tutti certamente siamo figli ed è con il giorno della nostra venuta al mondo che facciamo prima o poi i conti, per tutti è una nascita unica e irripetibile e per rinascere a noi stessi dobbiamo partire in qualche modo da lì. Scrivere il romanzo certamente per me è stato cercare, in modo simbolico, di risalire a quel giorno. E’ però vero che uno dei più bei auspicii al mio libro, ricevuto da una lettrice, è stato che gli augura la fortuna della” Capanna di Zio Tom” scritto appunto da un attivista politica, Harriet Beecher Stowe. Si dice che La capanna di Zio Tom sia servito per l’abolizione della schiavitù più di tanti convegni e discussioni accademiche. Magari fosse anche così per il mio romanzo riguardo alla abolizione della maternità surrogata!

Domanda di rito, progetti futuri, librosi e non? Avrà un seguito la vicenda di Maria Maddalena?

Certamente continuerò a battermi per la messa al bando universale della maternità surrogata e, con le compagne di Se non ora quando, per un paese che sia anche per donne! Resto convinta che se sapremo costruire una società per “due pari e diversi” avremo un mondo più giusto e migliore per tutti. Per quanto riguarda la scrittura, è stata per me una piacevole scoperta. In molti mi hanno chiesto un sequel, non so se lo sarà, ma ho ricominciato a scrivere e chissà se avrò la stessa determinazione a portare a termine l’impresa di scrivere un altro romanzo.

Grazie Roberta per la nostra chiacchierata ed un in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti!

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